Scandalosa, avida di vita e di amore ha ancora tanto da insegnare. Sul serio: la sua voce non ci fa piombare in un passato ormai morto, ma ci riporta al presente e alla dose di coraggio necessaria per scegliere liberamente il proprio destino.
Sibilla Aleramo, pseudonimo di Marta Felicina Faccio detta “Rina” (Alessandria, 14 agosto 1876-Roma, 13 gennaio 1960), è stata una scrittrice, poetessa e giornalista italiana È ricordata per il suo romanzo autobiografico Una donna, in cui dipinge la condizione femminile in Italia a cavallo tra il XIX e il XX secolo.
Soffocata da un matrimonio umiliante, dopo avere ingerito del laudano, a un soffio dalla morte, decise invece di ribellarsi. L’uomo che l’aveva prima stuprata e poi portata all’altare – usanza all’epoca comune –, e che ora la soffocava per addomesticarla, non meritava il suo sacrificio. Non solo era violento, ma anche ottuso e pavido, per Sibilla Aleramo forse la peggiore delle colpe. Così rinunciò a tutto, perfino al figlio tanto amato, pur di salvare sé stessa e diventare quello che voleva essere: una persona libera.
Nel 1906, a trent’anni, prese la sua vita e la plasmò dando vita a un libro apertamente scandaloso: Una donna, la prima opera letteraria a mettere in discussione la dedizione materna in un periodo in cui le madri borghesi crescevano i figli e andavano in chiesa, mentre le altre si spaccavano la schiena nelle manifatture dei tabacchi, nelle industrie tessili o nei campi per una paga irrisoria. Il libro venne pubblicato con lo pseudonimo Sibilla Aleramo e a partire da quella data furono numerose le sue pubblicazioni sia di prosa sia di poesia.
Iniziò così a farsi largo nell’animo di questa donna un sentimento femminista che non si limitò solo alla scrittura, ma si concretizzò nel tentativo di costituire sezioni del movimento delle donne e manifestazioni per l’emancipazione. Dopo essersi trasferita nel 1899 a Roma, le fu affidata la direzione del settimanale socialista L’Italia femminile, fondato da Emilia Mariani. Dal 1901 al 1905 collaborò con la rivista Unione femminile di cui diventò socia nel 1906.
Con l’avvento del fascismo si scontrò subito con le ideologie del regime firmando nel 1925 il Manifesto degli intellettuali antifascisti.
Nel 1929, ormai indigente, si incontrò con Benito Mussolini, venendo così ammessa all’Accademia d’Italia, posizione che prevedeva un sussidio economico. Da allora iniziò anche a elogiare il regime sulle pagine dei giornali per racimolare un altro guadagno. Nel 1933 si iscrisse all’Associazione nazionale fascista donne artiste e laureate rifiutandosi di trasferirsi a Salò nel 1943. Con la caduta del regime si iscrisse al Partito Comunista Italiano impegnandosi politicamente e collaborando per anni con l’Unità.
Morì a Roma a 83 anni, nel 1960, dopo una lunga malattia. Al suo capezzale andò anche il figlio Walter, che per anni non la volle incontrare, se non per comunicarle la morte del marito. In tutto madre e figlio si incontrarono solo tre volte: nel 1933, nel 1947 e infine a Roma, sul letto di morte della scrittrice.
UNA DONNA
La scrittrice si narra con uno stile linguistico che a distanza di un secolo risulta essere ancora attuale e comprensibile; racconta la sua dolorosa esistenza, oppressa dall’ignoranza degli uomini e del pregiudizio, che per tanto tempo l’hanno privata della consapevolezza di se stessa.
Attraverso la sua vita – spesso amara, vissuta intensamente tra amori, passioni, poesia e libri – la Aleramo parla della condizione della donna nella società, una tematica sempre attualissima che ci porta a riflettere su se, come e quanto questa condizione sia, oggi, realmente cambiata.
Una voce chiara, forte e distinta per affermare l’importanza di essere donna: questo è il libro di Sibilla Aleramo. E per questo motivo viene considerato uno dei primi romanzi femministi comparsi nel nostro paese, perché è una decisa dichiarazione del diritto che la donna ha di essere tale e di affermare la propria identità personale indipendentemente dal suo essere moglie e madre.
UN AMORE INSOLITO
«Oggi sono trentaquattro anni che il mio primo libro venne pubblicato. Mi ripeto la cifra fino a rimanere stordita. Nella stanza sottostante, Franco intanto spera che io lavori. Non mi ha legato alla seggiola, come fece, un po’ per gioco e un po’ sul serio, una volta, due o tre anni fa, sa che all’incirca è come se legata fossi: gli ho promesso di non discendere fino a che non sarà notte». Così scrive sul suo diario, appena iniziato, Sibilla Aleramo. è il 3 novembre del 1940. La narratrice e poetessa ancora una volta è a Capri, dove ha preso alloggio nella Villa La Falconetta. L’isola, diventata una delle mete preferite dell’establishment del regime, è affollata da un eclettico turismo internazionale. Sibilla vi torna sempre con piacere per quell’atmosfera fuori del tempo, in cui può riposare e sognare, dedicandosi alla letteratura. La sera, poi, può passare qualche ora assieme alle sue amiche scrittrici Alba De Cespedes e Maria Luisa Astaldi, e abbandonarsi a lunghe passeggiate. Dopo tante sofferenze e numerosi amori sfortunati, è ora come rinata. Da quattro anni vive una grande, struggente passione: ama, riamata, Franco Matacotta, un ragazzo poco più che ventenne. All’incontro fatale, avvenuto nel gennaio del 1936, Sibilla è in uno stato d’animo penoso: ha da poco compiuto sessant’anni, è stata appena abbandonata da Salvatore Quasimodo ed è convalescente di una grave malattia. La nuova amicizia, iniziata con una lettera timida e affettuosa che il giovane, aspirante poeta, le ha inviato da Fermo, suo paese natale in Abruzzo, si trasforma presto in una passione che la travolgerà, ma che si rivelerà anche, come l’ultima illusione dell’“amante indomita”, come a coronare una vita di sofferenze e di “grandi amori” sempre delusi.
FONTI:
LA REPUBBLICA
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