Eugenia Codronchi Argeli fu giornalista brillante e sovversiva. Le protagoniste dei suoi lavori erano quasi sempre donne, ma non quelle che la sua epoca prevedeva vivere all’ombra di una figura maschile, bensì, donne anticonformiste, alla ricerca di una vita autonoma, use anche ad un linguaggio spregiudicato
La Contessa Eugenia Codronchi Argeli, meglio conosciuta con l’originale pseudonimo di Sfinge, nacque a Imola il 15 aprile 1865, figlia del senatore Giovanni Codronchi Argeli e di Giulia Pizzoli, Eugenia trascorse gran parte della sua vita nel piccolo paese di Castel San Pietro nei pressi di Imola
La giovane Eugenia ebbe la fortuna di crescere con “un’educazione vasta e completa (linguistica, letteraria, filosofica e musicale), avvalorata profondamente dall’affettuosa confidenza di Giosuè Carducci, che di casa Codronchi era ospite e amico” come ricorda Dionisio Dall’Osso in un raro ritratto della scrittrice. “Ciò che della scrittura di Sfinge colpisce il lettore moderno sono l’anticonformismo e lo spirito arguto che si rivela soprattutto nelle novelle, in particolare nelle raccolte” (1924), in cui la scrittura modernista ha i suoi esiti più felici. Come suggerisce l’originale pseudonimo di Eugenia il lettore di Sfinge è costretto a confrontarsi con intrecci solo all’apparenza lineari e coerenti, ma che in realtà nascondono enigmi e ambiguità. Dopo tutto, tutta la vita di Sfinge fu ambigua e enigmatica.
Al contrario delle numerose autrici-educatrici del periodo, Sfinge non fu mai veramente interessata al lato più prettamente pedagogico e “femminile” della scrittura delle donne in Italia. Eppure, come molte altre sue colleghe, Sfinge è immancabilmente inclusa in ogni inventario della scrittura femminile e purtroppo quasi nessuno sforzo viene fatto per distinguerla da altre autrici con le quali aveva pochissimo in comune per il piglio modernista della sua scrittura e per l’originalità del suo stile.
Le protagoniste dei suoi lavori erano quasi sempre donne, ma non quelle che la sua epoca prevedeva vivere all’ombra di una figura maschile, bensì, donne anticonformiste, alla ricerca di una vita autonoma, use anche ad un linguaggio spregiudicato.
Sfinge non prese la strada dello sperimentalismo alla Virginia Woolf, preferendo un modernismo di matrice più cautamente italiana, più pirandelliano se vogliamo trovare un termine di paragone, ma nella sua scrittura è semplice riscontrare le ambiguità e gli atteggiamenti (cautamente) trasgressivi e ribelli tipici dell’epoca.
Alla scrittrice piaceva viaggiare e non visse solo a Imola o nella vicina Bologna, ma anche a Napoli e a Palermo. Di aspetto fisico assai gradevole, era stimata da Carducci, Panzacchi e Pascoli e frequentava circoli letterari. Non si sposò mai: convisse a lungo con Bianca Belinzaghi, anche lei scrittrice nota con il nome maschile di Guido di San Giuliano. Passò l’ultima parte della sua vita nella splendida villa che possedeva la sua famiglia nei pressi di Castel San Pietro e che aveva ugualmente assunto il nome di Sfinge, e morì nel 1934.