Chi considera Natalia Ginzburg semplicemente un’autrice di storie di vita famigliare vede solo una minima parte di ciò che ha realizzato. La sua riflessione artistica e critica va ben oltre: guarda al mondo che la circonda, parla del confronto fra individui.
Natalia Levi nasce il 14 luglio del 1916 a Palermo, figlia di Giuseppe Levi, illustre scienziato triestino ebreo, e di Lidia Tanzi, milanese cattolica. Il padre è professore universitario antifascista e insieme ai tre fratelli di lei sarà imprigionato e processato con l’accusa di antifascismo. I genitori diedero a Natalia e i fratelli un’educazione atea.
La sua vita ha attraversato eventi storici difficili, pesantissime tragedie personali. Cresce a Torino in un ambiente intellettuale e antifascista: continui controlli della polizia, la prigione che tocca diversi membri della sua famiglia, tra cui il padre e alcuni dei fratelli. Sono anni che sintetizzerà bene, in seguito, nel suo Lessico famigliare (1963). Nel 1938 si sposa con Leone Ginzburg, che nel 1940 viene mandato al confino in un piccolo paese dell’Abruzzo, e con lui vivranno Natalia e i tre figli (Carlo, Andrea, Alessandra) fino al 1943. Ricorderà quel momento in un testo delle Piccole virtù (1962), un tempo vissuto come un passaggio scomodo e che si rivelerà essere invece il più felice.
Tra il 1943 e il 1944, i Ginzburg presero parte a diverse attività di editoria clandestina. Al loro ritorno a Roma, Leone fu arrestato e condotto in prigione, dove morì per tortura, senza poter rivedere la moglie ed i tre figli.
La scrittrice torna a Torino e, al termine della guerra, inizia a collaborare alla casa editrice Einaudi. Traduzioni, romanzi, saggi, opere di teatro: la sua attività di scrittrice riempie i decenni successivi. Si sposerà di nuovo, nel 1950, con Gabriele Baldini, che morirà nel 1969. E sarà anche parlamentare (1983 e 1987), eletta nella Sinistra Indipendente, attiva in iniziative per la difesa dei diritti e contro il razzismo.
Il suo linguaggio è “umile”; lo sono i titoli dei romanzi, Le voci della sera (1961); Lessico famigliare (1963), Ti ho sposato per allegria (1966); La città e la casa (1984). Ci sono le “piccole cose”, la “vita quotidiana”…
Molti dei suoi libri sono costruiti attraverso lo sguardo di donne. C’è la vita di bambine (Natalia, in Lessico Famigliare), di giovani ragazze incinte, di vecchie (la «signora Maria»), di donne adulte con i loro figli (Lucrezia, La città e la casa) le contadine, le borghesi. E gli uomini: quelli in guerra, lontani per mesi e per anni; quelli di cui si sapeva solo che erano “in Russia”. Cenzo Rena e Franz che si consegnano ai tedeschi per salvare la vita di dieci ostaggi innocenti, e vengono fucilati: sono le ultime pagine dei “nostri ieri”.
Oltre alla scrittura, che lei stessa definisce senza retorica “il mio mestiere”, l’altra sua grande passione è la politica. Ebrea di nascita, fin dalla giovinezza la scrittrice si scontra in prima persona con la violenza del regime che imprigiona e processa il padre e i tre fratelli.
In età adulta affronta un duro colpo: il marito Leone, dopo essere stato esiliato, viene accusato di antifascismo e condannato alla reclusione nel carcere romano Regina Coeli, dove muore nel 1944. Negli anni successivi, i travagli personali e gli sconvolgimenti sociali del 1969 rinforzano il suo attivismo. La lotta al fascismo la porta fino in Parlamento, dove trova posto fra le linee del Partito Comunista Italiano
* Mi son permessa di “rubare” il termine corsara dalla bellissima biografia scritta da Sandra Petrignani e pubblicata per Neri Pozza