Grande intellettuale francese, fu la signora del piacere e del dolore, la donna del desiderio e dell’erotismo uno spiraglio verso l’emancipazione.
Si chiamava Marguerite Germaine Marie Donnadieu, per tutti Marguerite Duras. Una donna in grado di suscitare sempre grande scandalo, libera e selvaggia. Nessuno riuscì mai a cambiarla e con il suo essere ha saputo correre rischi per la sua vita, per l’amore e per la politica. Ha avuto la forza di un uragano, di un’apocalisse, in grado di aprire le porte delle pulsioni estreme, oscene, alla natura umana. La storia di questa grande donna, inizia nelle giungle afose dell’Asia coloniale. Marguerite nasce il 4 aprile 1914 a Gia Dinh, vicino Saigon (Vietnam), in quella che allora era la colonia francese dell’Indocina.
Degli anni trascorsi in Asia è fondamentale la relazione sentimentale iniziata a circa 15 anni con un cinese abbiente, Léo, che aveva studiato a Parigi, elegante, cortese, ma non affascinante. Il legame durerà solo un anno e mezzo, ma attorno a esso ruotano i due capolavori inscindibili della Duras, L’amante (1984) e L’amante della Cina del Nord (1991) scritto nel momento in cui la Duras seppe della morte dell’uomo. Si trattò di un amore fin dall’inizio infelice: la famiglia di lui si opponeva perché Marguerite era una “bianca”, i familiari di lei disprezzavano “il cinese”, ma approfittavano cinicamente della sua ricchezza in un periodo per loro molto difficile. Un anno e mezzo dopo l’incontro tra i due, tutta la famiglia va in Francia, e lì Marguerite resterà.
Gli anni della guerra sono fondamentali: dal ’43 Marguerite è nella Resistenza e conosce persone determinanti per la sua maturazione culturale e umana, come Francois Mitterrand (proprio quest’ultimo nel ’45 ritroverà, tra i cadaveri, nel campo di concentramento di Dachau, Robert Antelme vivo). Nel primo decennio postbellico nasce l’amicizia anche con Elio Vittorini e sua moglie Ginetta: gli scritti degli anni Cinquanta, Le marin de Gibraltar e Les petits chevaux de Tarquinia, sono frutto delle vacanze italiane trascorse con i due. È Vittorini stesso ad interessarsi per primo alla pubblicazione presso Einaudi di Una diga sul Pacifico, già uscito in Francia nel 1950. Anche Italo Calvino rimane folgorato da questo romanzo.
Ad interessare gli scrittori citati furono sicuramente le tecniche della Duras, ricondotte da molti al Nouveau roman, nonostante l’isolamento della scrittrice rispetto a qualsiasi movimento culturale. L’essenzialità sintattica di una scrittura rarefatta, la profondità delle riflessioni e l’estrema efficacia stilistica, la rilevanza dei singoli termini, che evocano situazioni lasciate all’interpretazione del lettore, sono tutti elementi che ricordano lo stile rapido ed incisivo degli scrittori americani, tanto amati allora in Europa.
Dagli anni Cinquanta in poi la Duras trasforma un’altra volta la sua esistenza: sempre impegnata politicamente (schierata contro la guerra in Algeria tra gli anni Cinquanta e Sessanta, firma, nel 1960, il Manifesto in favore del popolo algerino e contro quel conflitto) e dedita alla scrittura (Moderato cantabile, del 1958, inaugura una struttura narrativa più complessa rispetto alle opere precedenti), sarà attaccata sovente dai benpensanti per il rigore ideologico e la condotta lontana dalla morale borghese comune. Inizia a bere, tanto da essere ricoverata più volte in ospedale e da dover affrontare più tardi, nel 1983, una cura di disintossicazione.
Nel 1964-66 escono i due romanzi eccellenti Le ravissement de Lol V. Stein e Le vice-consul. È però dagli anni Ottanta alla morte l’epoca di maggiore notorietà a livello internazionale: nel 1984 con L’amante ottiene il Goncourt, negatole con Una diga sul Pacifico. Il libro è un intreccio di considerazioni sul passato e sul presente, folgorazioni, testimonianze della sua giovinezza e della storia d’amore con Léo, ricordi parigini, ma anche riflessioni sulla scrittura e sull’impegno. Mai s’interrompe il suo interesse per la società in cui vive: nel 1982 esce La maladie de la mort, saggio che indaga il rapporto tra i sessi. Dal 1980 si svolge un’assidua collaborazione con il giornale francese «Libération» e iniziano anche il legame e la convivenza con il giovane omosessuale Yann Andrea, alla cui figura sono dedicati Occhi blu capelli neri (1986) e, soprattutto, Yann Andrea Steiner del ’92. Malata gravemente dal 1988, la scrittrice muore a Parigi nel 1996.