Viaggiava tra poesia e prosa, indistintamente. Si può scrivere di poesia in prosa e viceversa, ripeteva. La messa in rilievo delle parole e l’uso delle pause contribuiscono a narrare, in modo estremamente nitido, l’esistenza nelle sue pieghe più intime e quotidiane.
Graziella “Lalla” Romano (Demonte, 1906 – Milano, 2001) appartiene alla categoria degli scrittori che nel corso della vita si sono affermati anche in altri ambiti lavorativi o artistici, perché il suo primo interesse è stato la pittura. È considerata una delle figure più significative del Novecento letterario italiano. I suoi libri, «a lungo contemplati», recuperano, attraverso la memoria e un modo poetico di accostarsi alla realtà, verità essenziali per tutti. La messa in rilievo delle parole e l’uso delle pause contribuiscono a narrare, in modo estremamente nitido, l’esistenza nelle sue pieghe più intime e quotidiane.
Si è trasferita a Milano nel 1947 dopo aver vissuto alcuni anni a Torino. Fin da giovane si è dedicata alla pittura; allieva di Lionello Venturi, nel 1928, dopo aver conseguito la laurea in Lettere all’Università di Torino, entra nella scuola di Felice Casorati e inizia a esporre in mostre collettive.
All’inizio degli anni Trenta scrive racconti, poi pubblicati nel 1975 nella raccolta La villeggiante. Il suo esordio letterario avviene nel 1941 con la raccolta di poesie Fiore.
Durante la guerra traduce, su richiesta di Cesare Pavese e per conto di Einaudi, i Trois contes di Flaubert: grazie a questa esperienza inizia a dedicarsi alla narrativa. Nel 1951 pubblica, nella collana“I Gettoni”, curata da Elio Vittorini per Einaudi, il suo primo libro di narrativa, Le metamorfosi. Tra i libri successivi, per la maggior parte pubblicati da Einaudi, si segnalano: Maria (1953), Tetto Murato (1957), Diario di Grecia (1960; 1974), L’uomo che parlava solo (1961; 1995), La penombra che abbiamo attraversato (1964), Le parole tra noi leggere (1969, Premio Strega), L’ospite (1973), Una giovinezza inventata (1979), Inseparabile (1981), Nei mari estremi (1987; 1996), Un sogno del Nord (1989), Le lune di Hvar (1991), In vacanza col buon samaritano (1997), Dall’ombra (1999). Dopo Fiore, Lalla Romano ha pubblicato altre raccolte di poesie, fra cui Giovane è il tempo (1974), fino a Poesie (2001).
Un aspetto significativo della sua produzione letteraria sono i cosiddetti “romanzi per immagini”, racconti fotografici nei quali i commenti rafforzano il valore assoluto dell’immagine. Si ricordano in particolare Lettura di un’immagine (1975), Romanzo di figure (1986), Nuovo romanzo di figure (1997). I critici, tra cui Montale, Carlo Bo, Pasolini, Ferroni, Segre – che ne ha curato la pubblicazione delle opere in due volumi (1991-92) nei Meridiani Mondadori – hanno indicato le linee interpretative dei suoi scritti nella paziente investigazione dell’esistenza, nella ricerca della verità e nell’accostamento articolato fra scrittura e pittura. È stata messa in luce inoltre la “classicità” della sua lingua; Calvino ne sottolineò l’«aerea semplicità di stile».
Il suo primo romanzo, Maria, viene accolto come un capolavoro da Contini e stroncato dall’amico Cesare Pavese, stanco a suo dire di leggere storie di donne di servizio. Ma gli amici, non sempre sono sostenitori. Come Mario Soldati, con cui ha condiviso gli anni della giovinezza, che a ogni suo scritto si sperticava di lodi, ma poi si assicurava che i giudici dei premi letterari non la votassero.
Nonostante la solerzia dell’amico, vinse il premio più ambito, lo Strega nel 1969 con il romanzo Le parole tra noi leggere, dove narra il suo rapporto con il figlio, analizzando e smontando ferocemente il legame tra i due. Un viaggio troppo intimo per il figlio Pietro che non le perdonò mai di averlo scritto. Scelse come titolo due versi di una poesia di Montale, il primo che aveva creduto il lei. Lo incontrò nel 1940 al bar Roma di Forte dei Marmi, “era solo – disinteressatamente. Si stupì che l’avessi riconosciuto e s’informò sul mio paese; poi mi domandò se scrivevo e mi chiese di leggere qualcosa. Portai un mazzetto di fogli alla sua pensione; mi restituì le poesie con crocette in cima alle preferite e piccole osservazioni. Mi chiese anche se ne avevo delle altre, si poteva farne qualcosa; non ne approfittai: ero troppo contenta”. Quelle prime poesie furono il nucleo centrale di Fiore, la sua prima raccolta. Einaudi si rifiutò di pubblicarla, ci pensò Frassinelli. Lei non si scompose, prese una copia del libro e la inviò a Giulio Einaudi con una dedica “A chi non ha voluto stampare questo libro”. Da quell’episodio divennero amici e Einaudi in seguito pubblicò tutti i suoi lavori.
Scriveva a mano, poi su macchina da scrivere e su ogni foglio conservato nel suo archivio si trovano tutti quei segni, annotazioni, anche disegni che la aiutavano a cercare i pensieri. Gli editori si disperavano per le sue continue revisioni, una, due, tre, quante necessarie a trovare le parole perfette.
Colpita negli ultimi anni da una progressiva cecità e da una lunga malattia, Lalla Romano muore a Milano nel 2001, lasciando un grande patrimonio di testi, quadri e documenti ad Antonio Ria che crea una Fondazione per gestire quest’eredità, donando anche parte delle opere alla Biblioteca Braidense di Milano, che le ospita in una sala dedicata.
Non solo scrittrice, dunque, Lalla Romano, ma personalità eclettica che ha saputo distinguersi anche nelle arti figurative. La formazione artistica e la passione per la fotografia, ereditata dal padre, hanno influito molto anche sulla sua scrittura, portandola alla creazione di numerosi libri in cui testi e immagini si uniscono per creare un racconto unico ed originale.
FONTI:
PRESSINGBAG