Partigiana, alpinista e scrittrice. Una donna forte, contraddittoria e sola, la cui personalità complessa emerge nel romanzo I Brusaz.
Giovanna Zangrandi, pseudonimo della scrittrice emiliana Alma Bevilacqua, è un’autrice da riscoprire perché riesce a costruire personaggi tanto innovativi quanto tradizionali sebbene le ambientazioni siano estremamente delimitate, le vicende, le sensazioni e soprattutto le reazioni e i giudizi della comunità sono valide dall’estremo Nord all’estremo Sud.
Personalità complessa, la giovane Alma sceglierà di vivere tra le montagne del Cadore e con la partecipazione alla Resistenza si compierà la sua definitiva metamorfosi da ragazza di pianura (nata a Bologna e solo da adulta si trasferì sulle montagne) in «cadorina di adozione, valligiana al cento per cento», con la scoperta di una sempre più forte vocazione alla scrittura.
Le scrittrici conosciute ai più che nel corso del Novecento hanno parlato della Resistenza si possono purtroppo contare sulle dita di una mano. Esiste infatti un’intera dimensione semisconosciuta di donne che hanno combattuto affianco agli uomini per sconfiggere il fascismo e nel Dopoguerra hanno sentito il bisogno di raccontare e far conoscere quella parte di Storia nascosta e poco narrata. Una di queste scrittrici è Giovanna Zangrandi: una donna forte, contraddittoria e sola.
Partigiana, alpinista e scrittrice, dopo aver conseguito nel 1933 la laurea in Chimica e nel 1934 il diploma in Farmacia, si trasferisce in Cadore. Durante la Resistenza milita come staffetta e, al termine della guerra, fonda e dirige il giornale «Val Boite». Seguendo l’innata vocazione alla scrittura, pur con molte difficoltà, nei primi anni Cinquanta raggiunge il successo con I Brusaz (Mondadori, Milano 1954).
È il romanzo della montagna, della povertà, della solidarietà femminile, ma soprattutto è il romanzo di Sabina, figura di arcaica madre-regina, che balza fuori vigorosa da una storia «di miseria, fame, disonore».
Tra le sue opere più importanti, Il campo rosso (Ceschina, Milano 1959, vincitore del premio Bagutta), I giorni veri (Mondadori, Milano 1963), Anni con Attila (Mondadori, Milano 1966).
La scrittura per Giovanna Zangrandi è perfettamente complementare alla sua capacità di scavare nell’animo umano e di guardare dentro le misere vite della gente, che trasfigura poi nei suoi scritti. Non a caso nei suoi diari ammetterà: «Io penso di arrivare a fare cose più grandi delle mie forze, di dovere scrivere le storie di queste vite rubate come per dovere di rendere quello che si rubò, di arrivare non si sa dove, infinitamente lontano e su limpidi valichi come quando la bava mi cola sui ghiaioni». Allo stesso tempo però sente la necessità di scrivere per se stessa. La scrittura non è altro che un mezzo di introspezione quotidiana. Ed è esattamente ciò che incontriamo ne I Brusaz, romanzo che parla delle donne e della maternità, della montagna e della natura, della povertà e della dignità. Il romanzo segue la storia e gli amori di Sabina Brusaz, delle sue fasi di maturazione come donna, ciascuna identificata con le tre sezioni in cui è diviso il libro.
Muore nel 1988, dopo una lunga malattia
FONTI E APPROFONDIMENTI
– Excursus
– Officina libraria
I BRUSAZ, Medusa 1954, PRIMA EDIZIONE
E’ un romanzo che parla delle donne e della maternità, della montagna e della natura, della povertà e della dignità. Il romanzo segue la storia e gli amori di Sabina Brusaz, delle sue fasi di maturazione come donna, ciascuna identificata con le tre sezioni in cui è diviso il libro.
Nella prima parte la giovane donna risiede con la famiglia a Hoden, piccolo villaggio delle Dolomiti vicino al confine con l’Austria. Qui Sabina si innamora di Donato Brusaz, un giovane lavoratore che viene dal povero villaggio di Iugol, ingaggiato dalla famiglia di Sabina per tagliare il fieno durante l’estate. Donato la sposa dopo averla sedotta e messa incinta ma Sabina viene ripudiata dalla sua famiglia e dal suo villaggio. Si trasferisce pertanto nel paese natio di Donato dove, dopo la partenza del marito per l’America, vive sola con la suocera Tesa, personaggio controverso ed emblematico della condizione femminile di Iugol. Al termine della prima parte, Sabina completa il suo processo di maturazione con la nascita del figlio Pino.
Nella seconda sezione, ambientata durante gli anni della Grande Guerra, Sabina incontra il tenente Oreste Muzziero, il quale nutre per lei un sentimento di un amore quasi mitico. Egli infatti considera Sabina una divinità, chiamandola Gea. Tuttavia, così come Donato ha cercato fortuna in America, Muzziero la cerca in Australia, non tornando più e lasciandola sola ad allevare il figlio Guido avuto da lui.
L’ultima parte invece vede al centro della narrazione il profondo sentimento tra Sabina e Tommaso Da Port, dal cui amore nasceranno due figli. Ne emerge una famiglia serena che vive tra la bellezza del paesaggio delle montagne e cerca di realizzare i proprio sogni, che purtroppo non potranno essere realizzati a fronte di una disgrazia incombente. Il romanzo presenta due schieramenti contrapposti di personaggi: da una parte gli uomini, fantocci assenti, dall’altra le donne, vere protagoniste della storia. Sabina è il fulcro di una compagine narrativa di donne accomunate da un destino di morte da cui lei emerge però come una vera e propria Madre Natura che non appartiene a nessuno, se non a se stessa.