Secondo Mr. Brontë, questa si sarebbe collocata tra le più celebri biografie di tutti i tempi – e così è stato. Ottanta anni dopo, Mario Praz l’avrebbe definita “magistrale”
Scrittrice inglese, nata a Londra il 29 settembre 1810, morta il 12 novembre 1865. Nel 1844 cercò di consolarsi della morte di un suo bambino scrivendo il suo primo romanzo Mary Barton. Questo fu pubblicato anonimo nel 1848 e descrive con simpatia umana la crisi industriale del 1842.
Con Mary Barton, Elizabeth entra quindi a pieno titolo tra gli scrittori maggiori del tempo, attirando l’attenzione di un Charles Dickens all’apice del successo, il quale ne diviene mentore, sponsor, ammiratore. È lui che la sprona a scrivere ancora, proponendole varie collaborazioni e introducendola nell’ambiente elitario dei più importati scrittori e critici del tempo.
Fondamentale è l’incontro con Charlotte Brontë, che porterà – in nome della profonda ammirazione reciproca e affettuosa amicizia che le avrebbe di lì a poco legate – all’idea di scrivere The Life of Charlotte Brontë (1857). Questa biografia nasce dalla volontà – non solo di Elizabeth, ma anche del padre di Charlotte, Patrick Brontë, e del vedovo, Arthur Nicholls – di rendere nota, tanto al pubblico coevo quanto ai posteri, la donna dietro l’autrice e, nel farlo, renderle onore.
Non a caso, per evidenti motivi di decenza, Elizabeth decide di omettere con discrezione la reale natura dei sentimenti che avevano legato Charlotte a Monsieur Heger. Tuttavia, nonostante questa e altre cautele, la biografia desta un clamore assordante e insopportabile, costringendo Elizabeth a fare fronte a tutta una serie di problemi legali e pesanti critiche che gravano a lungo sull’equilibrio emotivo dell’autrice.
Le parole a chiusura della biografia sono illuminanti per comprendere lo spirito di questo lascito:
Non ho molto altro da dire. Se i miei lettori trovano che non abbia detto abbastanza, ho detto fin troppo. Non posso misurare o giudicare un personaggio come il suo. Non posso tracciare una mappa dei vizi, delle virtù e della terra di confine […]. Volto le spalle al pubblico critico e insensibile – incline a giudicare severamente perché si limita a osservare superficialmente, senza riflettere con profondità. Mi rivolgo a un pubblico più ampio e solenne, che sa come guardare i difetti e gli errori con tenera umiltà; che sa come ammirare generosamente e come riverire con cuori pieni e caldi e con nobile purezza un genio straordinario. A quel pubblico affido la memoria di Charlotte Brontë.
Secondo Mr. Brontë, questa si sarebbe collocata tra le più celebri biografie di tutti i tempi – e così è stato. Ottanta anni dopo, Mario Praz l’avrebbe definita “magistrale”
Nello stile narrativo di Elizabeth si può scorgere una interessante parabola, nella quale la voce autoriale, inizialmente piuttosto prepotente e smaniosa di disseminare i suoi intenti moralistici, si affievolisce sempre più, per lasciare che siano i personaggi a parlare, ognuno col proprio timbro e la propria personalità. Se, quindi, nei primi racconti – in Mary Barton e, maggiormente, in Ruth, ma anche in North and South e in Sylvia’s Lovers – vi è un dichiarato intento moralizzatore, in Wives and Daughters questa voce a tratti ingombrante scomparirà del tutto, per lasciare la scena a una caratterizzazione a tutto tondo di ogni personaggio, inclusi quelli secondari. Non a caso, quindi, proprio quest’ultimo romanzo è generalmente considerato il capolavoro di una carriera comunque di altissimo livello.
È domenica 12 novembre 1865 durante il pranzo, circondata dall’allegria e spensieratezza che solo gli affetti più profondi possono donare, Elizabeth si spegne così, all’improvviso, e smette di respirare accasciandosi silenziosamente sul divano. L’ultimo capitolo di Wives and Daughters uscirà postumo due mesi dopo.
FONTI:
ENCLICOPEDIA DELLE DONNE
TRECCANI