Tre continenti convivono nelle pagine e nella vita di Doris Lessing: Asia, Africa ed Europa. Un intreccio di corpi e luoghi che fa della sua opera letteraria una matassa di fili multicolori, anche quando il referente primario della sua scrittura sembra essere il solo universo femminile. Vince il Nobel per la Letteratura nel 2007
Nata a Kermanshah, in Iran, nel 1919, e trasferitasi quasi subito, nel 1924, in Africa – nella Rhodesia del Sud, l’attuale Zimbabwe –, Doris Lessing ha trascorso una buona parte dell’infanzia e della sua giovinezza in una tenuta di campagna, a contatto con la decantata natura africana, ma anche con una società che offre le prime scintille del conflitto razziale in cui sprofonderà qualche anno più tardi la Rhodesia. Memoria di quegli anni sono, infatti, i libri Racconti africani e Sorriso africano. Quattro visite nello Zimbabwe.
Nel 1949 si trasferisce a Londra ma la sua residenza europea è movimentata, tra le altre cose, dall’impegno civile verso la Resistenza Afghana, i Mujahidin. Nel 1986 si reca in Pakistan per verificare di persona le condizioni dei profughi e per parlare con i capi dei Mujahidin; ne nasce un libro a metà strada tra reportage e romanzo: Il vento disperde le nostre parole.
Il resto della produzione letteraria di Doris Lessing è legato a intense, anche se spesso melanconiche, storie di ragazze e di donne, quasi tutte con un evidente fondo autobiografico, che rivendicano il diritto all’affettività, ad una vita più consapevole nel conflitto e nella quotidianità.
Nel corso della sua carriera è stata oggetto delle attenzioni di un pubblico internazionale, attraverso le numerose traduzioni delle sue opere, ma anche a livello accademico già a partire dagli anni Cinquanta con il premio Somerset Maugham, il primo di una serie nutrita di riconoscimenti: nel 1995 riceve una laurea ad honorem dall’Università di Harvard, nel 1999 viene proclamata Companion of Honour, onore attribuito dal Regno Unito a chi ha svolto un servizio nazionale di particolare rilievo, nella stessa occasione rifiuta la carica di Dama dell’Impero Britannico, mettendo in discussione l’effettiva esistenza di tale Impero, coerente con la propria convinzione politica di tutta la vita.
Nel 2001 vince il Premio Principe de Asturias per le sue opere in difesa della libertà e del Terzo mondo, lo stesso anno viene premiata con il Grinzane Cavour e riceve anche il premio letterario britannico David Cohen. Nel 2007 riceve il Premio Nobel per la Letteratura con questa motivazione:«Questa cantrice dell’esperienza femminile, con scetticismo, passione e potere visionario ha messo sotto esame una civiltà divisa»
Le sue opere sulla vita nell’Africa inglese sono piene di compassione sia per le infruttuose vite dei coloni britannici sia per le sfortune degli indigeni: a partire da «L’erba canta» (1950), il suo primo romanzo, autobiografico, che racconta il fallimento di una coppia di bianchi che si oppone alla società coloniale. Nei romanzi degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta narra dell’Africa e critica apertamente l’ingiustizia del sistema di potere dei bianchi, e per questo è stata bandita da Zimbabwe e Sudafrica nel 1956. A più riprese la scrittrice ha condannato la corruzione del regime di Mugabe: «E’ un disastro, in Zimbabwe sta morendo un’intera generazione di Aids ho amici che ogni settimana partecipano ad un funerale».
A darle notorietà è stato «Il taccuino d’oro» pubblicato nel 1962: è il romanzo che la fece entrare anche nella rosa dei possibili candidati al Nobel. Un diario, protagonista Anna Wulf, donna che cerca una via d’uscita dal caos, dall’ipocrisia e dallo stordimento della sua generazione. Un libro considerato un classico della letteratura femminista da molti critici ma non dall’autrice. Quando una volta le chiesero perché, rispose: «Quello che le femministe vogliono da me è qualcosa che loro non hanno preso in considerazione perché proviene dalla religione. Vogliono che sia loro testimone. Quello che veramente vorrebbero dirmi è “Sorella, starò al tuo fianco nella lotta per il giorno in cui quegli uomini bestiali non ci saranno più”» disse al New York Times nel 1982. E più di recente, in un’intervista al Corriere della Sera: Anna Wulf voleva «vivere come un uomo», ma oggi le donne sono «presuntuose, farisaiche» e «spaventano gli uomini».
Secondo la Lessing, che pure è diventata un’icona del movimento femminista, gli uomini sono «continuamente vilipesi ed insultati» dalle donne, continuamente colpevolizzati per i crimini commessi dal loro sesso. Per lei le donne si dovrebbero concentrare sul cambiamento di quelle leggi obsolete che le riguardano, invece di disperdere «molte energie» in insulti inutili a danno dei maschi.