Scrittrice di talento che, con rarissima disinvoltura, passava dalla poesia al reportage giornalistico, dal teatro al romanzo d’amore, dall’inglese all’italiano.
Annie Vivanti (1866-1942), un nome che quasi un secolo fa fu ugualmente celebre in Europa come in America. Una fama conquistata in paesi diversissimi tra loro per lingua e cultura, ma che la scrittrice, nata in Inghilterra da un esule mazziniano e un’aristocratica tedesca, aveva saputo sedurre e lusingare, grazie a un talento irresistibilmente mosso e sfaccettato. Un talento che, con rarissima disinvoltura e senza mai mettere il piede in fallo, passava dalla poesia al reportage giornalistico, dal teatro al romanzo d’amore, dall’inglese all’italiano.
Una carriera letteraria iniziata in giovane età con la pubblicazione di Lirica, una raccolta di poesie dove spiccava la prefazione di Giosuè Carducci. Il grande poeta ultracinquantenne aveva perso, infatti, la testa per quella giovane e intrepida poetessa che un giorno, senza alcun preavviso, aveva bussato alla porta della sua casa di Bologna, intenzionata a ottenere a tutti i costi una prefazione per la sua opera. Un incontro fatale il loro che aveva dato una scossa al cuore del maturo poeta invaghitosi della inglesina dall’indomito sangue latino. A lei, trasognato, dedicò poesie e poemi. Versi celebri di cui molti di noi oggi serbano forse più di un ricordo scolastico.
Annie viene catalogata tra le autrici di romanzi di facile consumo; storie romantiche e passionali, la cui enfasi è talora corretta da un pizzico di umorismo inglese. Lasciò anche una vivace rievocazione della sua giovinezza avventurosa (Zingaresca, 1918). Ma nei suoi libri ha affrontato temi scabrosi. Per esempio, in Circe, romanzo-confessione di Maria Tarnowska, una nobildonna russa che finì sotto processo nel 1910 in Italia per aver fatto uccidere un suo amante per denaro. La Vivanti ottenne di intervistarla. E ne trasse uno dei primi romanzi-reportage, in cui la Tarnowska risultava essere vittima delle circostanze. In seguito, Annie affrontò nel dramma L’Invasore (1915), il tema degli stupri delle donne belghe durante l’occupazione tedesca. Lo riprenderà nel romanzo Vae victis (1917). La censura fu pressoché totale. In Naja tripudians (1920) puntò il dito contro la società corrotta del Primo Dopoguerra. Negli anni Venti, sempre più dalla parte delle nazionalità oppresse, denunciò, in Mea culpa (1927, Mondadori), il colonialismo inglese in Egitto. Mentre il romanzo Terra di Cleopatra (1925, Mondadori) si rivelò un vero reportage dall’Egitto in lotta contro il dominio inglese.
La scrittrice si spense nel febbraio del 1942 a Torino, e
sulla sua lapide vennero incisi i versi che il Carducci le aveva teneramente dedicato
ai tempi di quel loro mai dimenticato incontro:
Batto alla chiusa imposta con un ramicello di fiori
Glauchi ed azzurri come i tuoi occhi, o Annie.
FONTI:
– GraphoMania
– Enciclopedia delle donne
– Wuz
– Wikipedia