Ribelle e combattiva, ha fatto della letteratura (soprattutto della poesia) un’arma di battaglia. La femminilità di Ada Negri era sorellanza nella gioia e nell’afflizione, ma anche impeto e slancio. Un invito alle donne a non piegarsi, anche laddove il mondo cerca di annullarle.
Ada Negri nacque a Lodi il 3 febbraio 1870. Le sue origini erano umili: suo padre Giuseppe era vetturino e sua madre, Vittoria Cornalba, tessitrice; passò l’infanzia nella portineria del palazzo dove la nonna, Giuseppina “Peppina” Panni, lavorava come custode presso la nobile famiglia Barni, legata al celebre mezzosoprano Giuditta Grisi, di cui Peppina era stata governante; sul rapporto tra Grisi e la sua famiglia, Ada costruirà il mito della propria infanzia. In portineria Ada passava molto tempo sola, osservando il passaggio delle persone, come descritto nel romanzo autobiografico Stella Mattutina (1921).
Si definiva “ostile, armata, di razza diversa”. Ciò che definiva la sua razza erano le umili origini e l’essere donna. Ada fu molto più che una “maestra di Lodi”, fu una scrittrice caparbia e straordinariamente prolifica che scandì la sua esistenza attraverso la letteratura, definendo il mondo e se stessa. Fu sempre impegnata, nei modi più diversi, a lottare per gli umili, gli operai, gli ultimi. La sua gente.
Sin dall’esordio del 1892 con Fatalità ci ha consegnato una poesia sdegnata, dal forte afflato sociale.
Nella sua letteratura non c’è solo il ritratto sociale, c’è anche un discorso sull’anima femminile che si esprime in parole d’amore, di erotismo e maternità, quest’ultima indagata nelle ansie, nei dolori e nella magica grandezza.
Il femminismo per lei era libertà di definirsi, come fece nella poesia Io dove parla di se stessa come figlia, moglie, madre, monaca di clausura, gitana, spensierata rondine e, naturalmente, poetessa.
Era una donna proletaria animata da una rabbia che l’ha portata a elevare gli umili a protagonisti della sua poesia. Un canto delicato e violento che si nutre di donne straordinarie, le stesse che lei conosceva bene: le madri sole, le operaie che perdevano il lavoro in fabbrica, le figlie del popolo, le vedove affrante. Della questione sociale ha fatto una questione di genere, omaggiando le donne e ritraendo se stessa in loro.
La tensione tra rappresentazione sociale e intima è costante: la poesia e la novellistica di Ada Negri sono il suo migliore autoritratto, la sua biografia definitiva.
Nel 1926 e nel 1927 Ada Negri venne nominata al Premio Nobel per la Letteratura. In questi anni trascorse diversi mesi a Pavia, città a cui rimase molto legata, spesso risiedendo a Palazzo Cornazzani, dove già avevano abitato Ugo Foscolo e Albert Einstein. Nel 1931 l’autrice fu insignita del Premio Mussolini per la carriera; erano gli anni in cui Benito Mussolini ancora utilizzava i rapporti nati nel suo periodo socialista. Il premio consacrò Ada Negri come intellettuale di regime, tanto che nel 1940 fu la prima donna membro dell’Accademia d’Italia.
Ada Negri è una delle voci poetiche più importanti della letteratura italiana, tanto che venne più volte nominata al Premio Nobel. Le sue vicende personali e professionali negli ultimi anni della sua vita sono legate al regime fascista, a cui aderì senza particolari rimpianti. Forse quest’appartenenza ha costretto il nome della poetessa lodigiana ad un oblio che non merita.
Morì nel 1945 e fu sepolta nel famedio di Milano. Il 3 aprile 1976 la sua tomba è stata traslata nell’antica Chiesa di San Francesco a Lodi.
VESPERTINA, stampata il 30 novembre 1930 ma edita con datazione riferita al gennaio 1931, raccoglie cinquanta liriche dedicate da Ada Negri ai nipoti Donata e Gianguido. La raccolta, acclamata al suo apparire in un consenso di elogi, è voce della maturità poetica, dispiegata per mezzo dell’endecasillabo sciolto. Trascorse le passioni dell’«inquieto mal di giovinezza», il canto si fa meditazione esistenziale attraversata dal presagio del sensus finis, secondo un’introspezione sincera rasserenata da un’apertura fiduciosa verso un oltre spirituale di segno già religioso, intimamente sentito. L’edizione della silloge secondo l’ultima lezione sovrintesa dall’autrice (1943) è accompagnata da un commento e da un apparato genetico delle varianti in grado di mostrare il processo compositivo e correttorio di ciascuna poesia, in una prospettiva diacronica: il risultato ultimo può così essere apprezzato anche in considerazione di quella passione creativa da cui esso trova origine e forma, nel personale connubio di arte e vita.
IL DONO Raccolta di poesie pubblicata nel 1936, in cui la poetessa si confronta con la morte e il dono che è stato per lei la vita. Il percorso della scrittrice di avvicinamento alla fede sembra raggiungere qui la sua meta serena.
STELLA MATTUTINA (1921) è a tutti gli effetti un’autobiografia, in cui la Negri racconta le difficoltà che non l’hanno abbandonata nell’infanzia, ma anche la tenacia che l’ha portata a diventare insegnante elementare. I suoi ricordi affondano nello stile poetico che la contraddistingue. Molte delle sue descrizioni sono a tutti gli effetti versi che contribuiscono a rendere elevata un’esperienza di vita altrimenti difficile. Le vicende di Dinin sono quelle di Ada, che non riesce neanche a scorgere bene i suoi lineamenti perché lo specchio in cui si guarda è vecchio e macchiato. Sono gli anni in cui si inizia a delineare una consapevolezza operaia che porterà in un futuro neanche troppo lontano a quelle lotte di classe che scuoteranno l’Italia. Sono gli anni in cui una donna ha un potere politico o familiare quasi pari allo zero. Ada Negri riesce a testa alta a raggiungere un’emancipazione che la faranno entrare di diritto nei salotti letterari più importanti. Il suo racconto in prima persona è spezzato solo dalle storie di due donne, Augusta e Teodosia, che sua madre amava narrarle e in cui viene rappresentata egregiamente la “materia umana”.
FONTI:
ADA NEGRI
MANGIALIBRI
WIKIPEDIA