Il successo si corona nel 1926, anno in cui le fu conferito il Premio Nobel per la Letteratura, prima donna italiana e seconda a livello mondiale
Grazia Deledda nacque nel 1871 a Nuoro da una famiglia benestante ed esordì giovanissima (appena 17enne) pubblicando alcuni racconti per una rivista di moda. L’ambiente sardo non poteva offrirle la possibilità di studi regolari e così la adolescente Deledda si fece autodidatta, fornendosi di una cultura disorganica e poco approfondita.
Cresce il suo desiderio di affermarsi come scrittrice donna, in un periodo e in un contesto storico non favorevole e Nuoro diventa sempre più piccola e ristretta per le sue aspirazioni: nel 1891 pubblica a puntate il suo primo romanzo Stella d’Oriente e inizia a seminare collaborazioni prolifiche (anche se non sempre facili e costanti) con numerose riviste letterarie, locali e nazionali, quali «Nuova Antologia», «La Lettura», «Illustrazione italiana», «Corriere della Sera» e «Ultima Moda». Grazia intesse collaborazioni, amicizie letterarie e rapporti, testimoniati da numerosi epistolari, grazie ai quali inizia a farsi sempre più spazio nella scena letteraria, fino al primo slancio di libertà: il trasferimento da Nuoro a Cagliari nel 1899, dove incontrerà il suo futuro sposo.
Questo primo trasferimento avviene principalmente dal desiderio della scrittrice di insediarsi in una realtà dove la letteratura avesse radici ben solide e per fuggire da un ambiente che non la comprende e non l’accetta.
Nel 1899, in seguito al suo matrimonio con Palmiro Madesani, si trasferì a Roma. La distanza dalla Sardegna agì positivamente su di lei, smussandone il regionalismo e sublimando il folklore sardo dei suoi scritti in una certa atmosfera fiabesca, adattissima agli interessi psicologici e morali dell’autrice. Grazia vive tra due poli: da una parte, all’orizzonte, il continente, Roma, la vita dedicata ufficialmente e interamente alla scrittura ed il riconoscimento; dall’altra la Sardegna, sua terra d’origine, che la scrittrice non smette mai di raccontare anche dopo il trasferimento a Roma, ed in particolare Nuoro.
La vita della Deledda non fu particolarmente ricca di avvenimenti ma fu molto feconda dal punto di vista letterario, scandita com’era dall’uscita quasi annuale dei suoi romanzi. Nel 1926 le fu assegnato il premio Nobel per la letteratura.
“per la sua ispirazione idealistica, scritta con raffigurazioni di plastica chiarezza della vita della sua isola nativa, con profonda comprensione degli umani problemi”
questa la motivazione del premio, che sottolinea la volontà di Grazia di rappresentare la vita partendo dalla sua esperienza sarda e non quella di stereotipare un’isola ed i suoi abitanti. Sospese com’erano tra Verismo e Decadentismo, le opere della Deledda testimoniarono in maniera molto chiara di questo passaggio, sia contenutisticamente che formalmente: dall’interesse per la cultura tradizionale sarda passarono alla vera e propria analisi psicologica, al cospetto della quale l’ambiente isolàno veniva trasformato in un puro e semplice sfondo.
Morì a Roma dieci anni dopo.
CANNE AL VENTO
Nella casa delle dame Pintor, discendenti da una nobile famiglia sarda ormai in rovina, il servo Efix tiene viva l’antica dignità a prezzo di grandi fatiche e di una devozione infinita alle padrone: Ruth ed Ester, ormai rassegnate in un malinconico limbo di memorie e di antiche tradizioni, e Noemi, ancora ricca di sangue giovane, ribelle e chiusa in una sdegnosa solitudine. Con l’improvviso ritorno del nipote Giacinto, scapestrato e dissoluto figlio di un’altra sorella, Lia, fuggita tanti anni prima sul continente per sottrarsi alla soffocante tutela paterna, nella vecchia casa irrompono ricordi, risentimenti, speranze, passioni dimenticate. E il rimorso per un’antica colpa torna a opprimere ancor più prepotente il fedele Efix, custode di un terribile segreto. Un senso religioso del peccato domina il romanzo della Deledda, pubblicato nel 1913, insieme alla tragica coscienza di un inesorabile destino, di cui i personaggi sono in balia come “canne al vento”. Nella sua prosa si consuma una fusione quasi carnale tra stati d’animo e paesaggio, tra gli uomini e l’aspra terra di Sardegna, un mondo ancestrale e primitivo che la scrittrice proietta in una dimensione mitica.