La scrittrice contribuì in prima persona alla costruzione di una nuova e più forte identità femminile dando voce in tutta la sua produzione letteraria alle donne, le grandi dimenticate della storia
Lucia Lopresti (vero nome di Anna Banti 1895-1985) è una personalità complessa e poliedrica e sfugge a ogni tentativo di definizione. Animata dalla passione per l’espressione artistica in tutte le sue forme ha vestito i panni della storica dell’arte, della scrittrice, della critica letteraria, teatrale, cinematografica e della traduttrice. In particolare, è stata autrice di sette raccolte di racconti, di nove romanzi e di numerosi interventi saggistici apparsi sulla rivista «Paragone», che ha fondato nel 1949.
Trascorre gli anni dell’infanzia a Bologna e, nel 1905, la famiglia si trasferisce a Roma dove a scuola, per il suo carattere indipendente, si conquista la fama di “signorina strana, femminista”. In terza liceo, avviene l’incontro che le cambia la vita: quello con la storia dell’arte e con il professore Roberto Longhi, di cui si innamora: “Ti ho sempre voluto bene – anche quando non avrei dovuto, anche quando ti volevo odiare perch’eri arrivato a una cosa che ritenevo impossibile – innamorare Lucia Lopresti.“
È l’inizio non solo di un grande amore, ma anche di uno straordinario sodalizio intellettuale che durerà tutta la vita. Una volta conseguita la laurea in Lettere, Lucia sposa Roberto nel 1924. Dopo il matrimonio matura una decisione importante: abbandonare la storia dell’arte per dedicarsi alla scrittura. Longhi è un critico affermato e lei decide di inseguire il successo in un altro campo, con le proprie forze.
Tale scelta derivava dalla ferma convinzione della scrittrice che le donne dovessero riscattarsi dalla loro condizione di subordinazione rispetto al sesso maschile ed affermare finalmente la loro autodeterminazione ed autonomia di scelta. La scrittrice contribuì in prima persona alla costruzione di una nuova e più forte identità femminile dando voce in tutta la sua produzione letteraria alle donne, le grandi dimenticate della storia. Nei suoi romanzi, storici e non, l’autrice raccontò la generosità, la nobiltà e la sensibilità femminile regalando ai lettori sublimi personaggi che come Artemisia, la protagonista del suo romanzo più noto, e come le eroine della raccolta di racconti Il coraggio delle donne, affrontano coraggiosamente la vita nonostante la propria condizione di vittime.
Stringe una forte amicizia con la scrittrice Maria Bellonci e con altre personalità femminili della scena letteraria italiana, come Gianna Manzini, Alba de Céspedes e Sibilla Aleramo. Gli epistolari privati e le carte d’archivio documentano, infatti, intensi rapporti di scambio umano e professionale.
Nel 1970 la sua vita viene sconvolta dalla morte del marito e, ancora una volta, si rifugia nel lavoro per sfuggire al dolore. Si dedica così alla cura della Fondazione di Studi di Storia dell’Arte nata per desiderio di Longhi e alla pubblicazione delle sue Opere Complete e degli inediti. Inoltre, pubblica le raccolte Je vous écris d’un pays lointain, Da un paese vicino e il romanzo La camicia bruciata; traduce Colette e Jane Austen e cura il volume di Defoe per la collana Meridiani. Nel 1971, all’età di settantacinque anni, attraversa il Portogallo in macchina, accompagnata da Fausta Garavini, per studiare la pittura del paese e avverare il desiderio irrealizzato del marito.
La sua carriera di romanziera si concluse nel 1981, quattro anni prima di spegnersi a Ronchi, con l’opera di spunto autobiografico Un grido lacerante in cui si volta indietro, ma solo per confermare i passi percorsi
FONTI E APPROFONDIMENTI
– Roma Dailynews
– Enciclopedia delle donne
LA CAMICIA BRUCIATA
Pubblicato nel 1973, La camicia bruciata è — almeno in parte — la biografia romanzata di Marguerite Louise d’Orleans, cugina di Luigi XIV data in sposa (sarebbe più corretto dire “malmaritata”) a Cosimo III dei Medici.
La Banti chiarisce molto bene di essere stata “lontanissima dal desiderio di riabilitarne la memoria” e che ciò che l’aveva spinta alla scrittura era stato il desiderio di “considerarne le malefatte con criteri un po’ più obiettivamente aggiornati”.
E infatti la scrittrice non è affatto tenera con Marguerite Louise, tutt’altro. A cominciare dal celebre incipit:
“Non parla, ronza, sibila, punge. Non vede la finestra aperta, sbatte sui vetri. Qui c’è sangue da succhiare, fuori la luce dove tutto dilegua le è nemica. Aspetta il buio per abbassarsi a volo radente, minimo vampiro protetto da un nome, Marguerite Louise: il guscio dove si crede ancora una principessa”
Marguerite Louise pensa solo a se stessa, non ama nessuno, nemmeno i suoi tre figli che abbandona a Firenze per sempre senza rimpianti pur di tornarsene in Francia. “Vous n’aimez personne, Mademoiselle”, la ammoniva Madame de Rairé, la sua prima governante, il faut vous corriger” (p.107). L’anaffettività è uno dei suoi caratteri distintivi.