Virginia Woolf si riempì le tasche di pietre e annegò nel fiume Ouse vicino alla sua casa nel Sussex, il 28 marzo 1941. Temeva che la sua pazzia fosse di ritorno e che lei non sarebbe stata in grado di continuare a scrivere.
Una donna alta, magra, dal volto sofferente e dagli occhi profondi seduta alla sua scrivania; è un mattino di un giorno qualunque e la calda luce del sole filtra tra i fitti rami dei rigogliosi alberi da frutto curati con amore dalle premurose mani di Leonard.
È così che immagino Virginia Woolf: immersa nella scrittura, ispirata e coccolata dai fiori e dagli alberi del suo giardino ideato dal marito apposta per lei nel tentativo di alleviare la sua fragile mente durante i tanti momenti bui e limitare le visite di quelle fastidiose voci che hanno tormentato Virginia durante tutta la sua esistenza riuscendo a seguirla fino a lì, nella sua ultima dimora, Monk’s House.
Di lei e, in particolare della sua ‘vita dietro le quinte’, si parla sempre troppo poco eppure, io credo che questo sia un aspetto fondamentale se si desidera godere appieno delle straordinarie esperienze di letture che ella ci ha lasciato. Così, insieme a Sara, abbiamo pensato di redigere questo breve articolo in cui tenterò di raccontarvi alcuni aspetti curiosi delle opere che hanno trascorso parte del loro tempo tra gli scaffali di Bookbank e di quelle che ancora vi si possono trovare in attesa che una mano curiosa dia loro la possibilità di parlare e d’insegnare cosa significhi vivere secondo Virginia Woolf.
Poco importa che siano brevi racconti o romanzi più lunghi e impegnativi poiché in ciascuno di essi è nascosto lo stesso identico messaggio: ascoltare le proprie emozioni e saggiare il mondo esterno attraverso i sensi per scoprirne il vero sembiante e riuscire così a comprendere che ogni secondo dell’esistenza è degno di essere vissuto e ricordato.
È la vita di Virginia e la sua vicenda editoriale, coordinata in realtà dal suo mandante testamentario – Leonard Woolf – a seguito della prematura scomparsa della scrittrice, a catturare l’attenzione degli studiosi attirati dalla figura di questa donna rivoluzionaria che al posto del tè preferiva sorseggiare caffè e fumare sigari in compagnia di uomini e donne liberi di esprimere se stessi durante i lunghi incontri intellettuali che si svolgevano regolarmente al 46 di Gordon Square Garden, nel quartiere londinese di Bloomsbury.
Ben inserita nell’alta società intellettuale dell’epoca e intrisa di letteratura sin dalla giovane età, grazie alla possibilità concessale dal padre – Leslie Stephen – di consultare con libertà la libreria della gotica dimora al 22 di Hyde Park Gate, Virginia iniziò a dedicarsi alla scrittura. Il percorso, però, non fu semplice e le frequenti crisi mentali di cui ella soffriva da ormai diversi anni la obbligarono a lunghi periodi di riposo e di ricovero in cliniche specializzate in cui potesse essere assistita da medici e infermiere.
Durante i primi anni Dieci, però, Virginia riuscì a portare a termine il suo primo romanzo; uno scritto che non ha nulla a che vedere con i successivi lavori ma che custodisce in sé i semi di tutti quegli aspetti che iniziò a indagare nel dettaglio più avanti nel tempo – uno di questi corrisponde non a un’idea ma a un personaggio sviluppato poi in un romanzo del 1925 e al quale Virginia rimase legata per tanto tempo, Mrs Dalloway. Nessuno ebbe mai la possibilità di leggere pagine scritte da Woolf prima che ella potesse decretarne la compiutezza, fatta eccezione per questo romanzo per cui invece ella chiese spesso pareri e opinioni – facendo riferimento ad alcune allusione di Woolf riportate in lettere indirizzate ad amici, sembrerebbe che nel cassetto della sua scrivania fossero conservate ben 7 copie di questo stesso romanzo.
Il manoscritto fu pronto nel 1912 ma la salute di Virginia, messa a dura prova dal recente matrimonio e dallo sforzo di adattare la propria storia per un pubblico di lettori, crollò e tra il 1912 e il 1913 tentò il suicidio più volte; iniziò a mangiare e dormire sempre meno, ingerì grandi quantità di Veronal e tentò di gettarsi fuori dalla finestra della propria abitazione.
Trascorsi questi anni, nel 1915, Woolf sembrò ritornare alla luce e Leonard riuscì finalmente a proporre il manoscritto della moglie alla Duckworth Books fondata da Gerald Duckworth, fratellastro di Virginia, il quale apprezzò molto l’opera programmandone la pubblicazione per il 26 marzo di quell’anno. Le cose andarono per il meglio e Virginia riuscì a vedere pubblicato La crociera (The voyage out) per un soffio poiché venne nuovamente ricoverata a seguito di una terribile crisi che la costrinse a un lungo periodo di riposo proprio mentre Leonard stava portando a termine le trattative per l’acquisto di Hogarth House al 34 di Paradise Road, luogo in cui la coppia avrebbe avviato poi nel 1917 la propria attività editoriale sotto il nome di Hogarth Press.
Il romanzo, letto da Alessandra Scalero negli anni Trenta, venne immediatamente segnalato per farne una traduzione ma le complicazioni causate dall’imperante governo fascista ne impedirono l’acquisto dei diritti che venne successivamente concordato, non più con la casa editrice di Arnoldo Mondadori, bensì con quella guidata da Leo Longanesi che s’impegnò a pubblicare il romanzo nel 1950.
Tornando a Virginia, nel 1922, diede alle stampe il primo romanzo in cui è evidente l’inizio di una sperimentazione narratologica che segnerà tutte le sue opere successive. In La stanza di Jacob (Jacob’s Room) il giovane protagonista non è che una voce, una mente, un insieme di sensazioni ed emozioni che rivive la propria vita attraverso il ricordo dei suoi amori incontrati in stanze che egli stesso continua spiritualmente ad abitare quasi fosse una presenza soprannaturale. Giocò e si divertì Virginia nel comporre l’opera che le regalò il successo in veste di scrittrice, il primo romanzo di oltre 100 pagine stampato dalla Hogarth Press, accompagnato dalle affezionate parole dell’amico T.S. Eliot: «Ti sei liberata di ogni compromesso tra il romanzo tradizionale e la tua vocazione originale. Mi sembra che tu […] abbia conseguito un notevole successo».
Romanzo che diventa subito popolare e venne notato anche dalla Mondadori che decise di acquistarne i diritti e di affidarne la traduzione ad Anna Banti la quale, a causa di dissapori pregressi con l’editore, ritardò volontariamente la consegna permettendone la pubblicazione nella collana Il Ponte solo nel 1950 con il titolo La stanza di Giacobbe – è interessante notare che, nelle edizioni successive a questa, il nome del protagonista torna a essere identico a quello dell’originale inglese.
Tra il 1922 e il 1928, anno di pubblicazione di un altro grande romanzo woolfiano, Orlando (Orlando. A Biography), Virginia lottò contro i propri demoni sempre accompagnata dalla fedele mano di Leonard, si dedicò alla critica letteraria, si abbandonò al piacere delle passeggiate nella natura e scoprì i morsi della gelosia causati da una donna, non una qualunque, una donna di gran fascino, sensuale, dal carattere forte e volubile, ricca e appartenente a un’antica famiglia: Vita Sackville-West, unica protagonista e fonte d’ispirazione per la stesura di una storia in cui Virginia s’immerse con tutta se stessa riuscendo a dare vita a un personaggio a dir poco straordinario.
Un uomo o, forse, una donna; un essere umano in grado di viaggiare per il mondo – così com’è costretta a fare Vita per seguire il marito, ambasciatore britannico – e nel tempo riuscendo a vivere intensamente ogni minuto della propria esistenza senza abbandonare la continua lotta per far valere i propri ideali. Ciò che traspare dalla narrazione è l’immagine di una Vita che esiste solo nella testa di colei che non ha mai smesso di volerle bene nonostante non fosse in grado di dare alla sua amante ciò che ella bramava come lei stessa, Virginia, riporta in una delle numerose lettere che le due amanti s’inviarono durante gli anni della passione: «E quando ti vedo? Perché lo sai, ora tu ami parecchia gente, fisicamente intendo dire, di più, più spesso, più carnalmente di me».
Nonostante la tematica trattata in questo romanzo possa apparire piuttosto rivoluzionaria per l’epoca, poco tempo dopo la pubblicazione in madrepatria, Mondadori ebbe il via libera per la pubblicazione italiana che apparve in 4002 copie – presto esaurite – nel 1933 per la traduzione di Alessandra Scalero nella collana Medusa.
Dopo aver trascorso così tanto tempo immersa in una scrittura che Virginia considerò sempre frivola e di poco valore, sentì il bisogno di tornare a riflettere sulla realtà dell’esistenza iniziando a redigere quello che, tra gli studiosi di Woolf, viene considerato come il ‘testamento biologico’ della scrittrice: Le onde (The Waves).
Ma non è di questo che vorrei parlarvi, quanto piuttosto della piccola e bizzarra biografia che seguì la faticosa stesura del suddetto romanzo; Flush, la storia di un cane scritta rispettando quello che Virginia s’immaginò potesse essere il punto di vista di un Cocker Spaniel dell’alta società britannica protagonista di una vita vissuta principalmente tra Gran Bretagna e Italia – particolare che aiutò la Mondadori ad ottenere il consenso per la pubblicazione da parte degli organi di censura fascisti nel 1934. Fonte d’ispirazione per la realizzazione di una così insolita biografia fu Pinka, il Cocker Spaniel regalato a Virginia da Vita e con cui la scrittrice ebbe un rapporto d’affetto sempre molto controllato, guidato più dalla curiosità di comprendere l’animo animale per carpirne l’essenza e tentare di comprendere quanto questo potesse essere diverso da quello umano specialmente nelle modalità di percezione del mondo esterno impiegate dagli uni e dagli altri, che dal semplice sentimento d’affetto che lega l’animale al suo padrone .
Una piccola curiosità riguarda ciò che il nipote di Virginia, Quentin Bell, racconta nella sua biografia in cui egli ricorda di come la zia si associasse in continuazione ad animali diversi a seconda del destinatario delle proprie lettere: una scimmia o una capra per Vanessa, metà scimmia metà passerotto per l’amica Violet Dickinson, un mandrillo per Leonard (identificato con la mangusta) e semplicemente Potto (forse un cocker spaniel) nel rivolgersi a Vita (Towzer, nome di cane).
Orlando e Flush furono gli unici romanzi i cui diritti italiani vennero curati, almeno in partenza, dalla mano della stessa Virginia.
Seguendo il principio woolfiano secondo cui a una scrittura più leggera deve necessariamente seguire qualcosa di più impegnativo, eccoci infine giunti all’ultimo romanzo che l’autrice ebbe il tempo di concludere prima di abbandonarsi a un tragico destino: Gli anni (The Years). Pubblicato, ancora una volta dalla Hogarth Press nel 1937, esso appresentò per la sua autrice un vero tormento, un’appassionante scrittura che tuttavia la oppresse togliendole tempo destinato al completamento della biografia dedicata al defunto amico Roger Fry – un lavoro che logorò Virginia per lungo tempo.
Accompagnato dalla copertina realizzata dalla sorella Vanessa Bell – come fu per tutte le opere di Virginia edite dalla Hogarth Press – The Pargiters, questo fu il titolo nella mente di Virginia fino al momento della messa in stampa, nell’autunno di quell’anno, divenne un best seller in tutti gli Stati Uniti permettendo alla famiglia Woolf di ricevere finalmente una lauta ricompensa in denaro sonante.
Nove anni più tardi e a conflitto terminato, nel 1946, Mondadori ha nuovamente la possibilità di acquistare da Leonard i diritti per la pubblicazione che tuttavia comparve solo nel 1955 per la traduzione di De Angelis nella collana Medusa a causa della prematura scomparsa, avvenuta pochi mesi dopo l’assegnazione dell’incarico, della precedente traduttrice.
Questa fu l’ultima opera che Virginia Woolf diede personalmente alle stampe.
Edward fece di no con la testa. “ È la lingua,” disse.
E tacque. Non c’è niente da fare, pensò North. Non riesce a dire quello che vuole; ha paura. Hanno tutti paura; paura che si rida di loro; paura di tradirsi. Anche lui ha paura, pensò, guardando il giovanotto con la fronte spaziosa e il mento debole che gesticolava in modo esagerato. Abbiamo tutti paura l’uno degli altri; paura di che? Delle critiche; delle risate; dichi la pensa in modo diverso…
Tutto questo, per ricordare che non dobbiamo avere paura di Virginia, della sua scrittura, di provare a immaginare davvero e di sentire dentro di noi quel terrificante mondo reale che ella dipinse nelle sue opere così come fa dire lei stessa a Edward in un passaggio finale de Gli anni.
È Virginia che ci domanda di guardarla con occhi diversi per non vanificare ciò per cui ella ha lottato durante la sua vita; mostrare all’essere umano l’esistenza di una realtà oltre ciò che la ragione e la logica ci permettono di vedere; il mondo dei sensi; il mondo dello spirito.
QUENTIN BELL, Virginia Woolf. Una biografia eccezionale per documentazione e completezza, sensibilità e pudore, Trad. Marco Papi, Saggi Blu, Garzanti, Milano, 1979
ELISA BOLCHI, L’indimenticabile artista. Lettere e appunti sulla storia editoriale di Virginia Woolf in Mondadori, Strumenti. Scienze linguistiche e letterature straniere, Vita e pensiero, Milano, 2015
VIRGINIA WOOLF VITA SACKVILLE-WEST, Scrivi sempre a mezzanotte. Lettere d’amore e desiderio, cura di Elena Munafò, Trad. Sara De Simone e Nadia Fusini, Donzelli Editore, Roma, 2019
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Virginia Woolf nasce a Londra nel 1882. E ‘cresciuta in un ambiente letterario e intellettuale: infatti gli amici di suo padre sono stati alcuni dei più importanti scrittori del 19 ° secolo. La sua vita è stata segnata da problemi mentali. Virginia ebbe tre grandi crisi mentali durante la sua vita, e sarebbe morta durante una quarta crisi. La sua prima crisi si è verificata dopo la morte della madre, quando aveva solo 13 anni, che Virginia poi ha descritto come “il più grande disastro che sarebbe potuto accadere”.
Sposò Leonard Woolf, un editore. Virginia Woolf e suo marito presero parte al “Bloomsbury Group”, un gruppo di intellettuali che reagivano contro la società vittoriana e valori. Un certo numero di suoi scritti sono autobiografici.
Dopo l’attacco finale della malattia mentale, Virginia Woolf si riempì le tasche di pietre e annegò nel fiume Ouse vicino alla sua casa Sussex il 28 marzo 1941.
Temeva che la sua pazzia fosse di ritorno e che lei non sarebbe stata in grado di continuare a scrivere.
articolo scritto da Noemi Veneziani guarda il suo blog: Bibliomemi