Quando l’orizzonte si restringe ogni particolare balza fuori, diventa nitido e, guarda caso, anche più interessante. Non l’avrei mai creduto, prima. Prima di questa prigionia, di questo isolamento forzato, non pensavo di poter passare tanto tempo sbirciando nella via da dietro il vetro, con il naso schiacciato contro la lastra fredda e appannata dal mio alito, per riuscire a vedere giù. Dove però non passa mai nessuno, o quasi.
Pochissime persone, tutte di fretta e silenziose, con la testa bassa e la borsa della spesa.
Poche auto parcheggiate, quelle che non hanno trovato posto in garage, qualcuna coperta dai teloni color argento che non vedevo in giro dagli anni Ottanta. Il mondo dormiente delle automobili.
Ne transita una ogni tanto e si sente arrivare da lontano: adesso in mezzo alla strada si potrebbe anche ballare, se solo qualcuno ne avesse voglia.
I negozi hanno le saracinesche abbassate: la parrucchiera, l’idraulico, la merceria. Persino i cinesi.
Soltanto la bottega di alimentari là in fondo è aperta: si vede qualcuno fuori, in fila, che aspetta il proprio turno per entrare.
Per fortuna posso uscire sul terrazzino: un metro per tre, poca roba. Almeno, prima dei Dpcm, della chiusura e delle autocertificazioni, sono riuscita a piantare le primule: tre piantine per ciascuna delle tre cassette che sporgono dalla ringhiera. Ho messo attenzione nell’abbinare i colori, giallo, rosso, arancione e viola, e adesso che sono fiorite il risultato si vede, mischiato allo sfavillare delle bandierine luccicanti per tenere lontano i piccioni. Di quelli ne svolazzano intorno in abbondanza, perché loro possono andarsene in giro quando e dove vogliono.
Il mio mondo, da qualche giorno a questa parte, finisce con il condominio di fronte. E lì immediatamente se ne apre un altro, uno nuovo, che prima non avevo mai avuto voglia, né tempo, di osservare. Altre finestre chiuse, qualche movimento istantaneo delle tendine che si spostano, volti che appaiono e scompaiono. Altri terrazzini su cui esce qualcuno ad annaffiare i vasi dove spuntano i primi fiori primaverili.
M’incuriosisce una ragazza: possibile che non mi sia mai accorta della sua esistenza? Ma in fondo: perché avrei dovuto? Sembra giovane, al massimo arriverà alla trentina, ed è piuttosto bella. Mi chiedo cosa faccia in questo quartiere, dove sembra che abiti da sola in un appartamento abbastanza ampio, al secondo piano, proprio dirimpetto al mio.
Ha i capelli castano chiaro, lunghi e folti, che porta raccolti in un grosso ciuffo sulla testa, il viso delicato, gli occhi grandi di cui non vedo il colore, un fisico agile e minuto, quello che avrei voluto avere alla sua età. Lo intuisco nonostante le tute sportive che indossa, quando si muove leggera mentre stende i panni o cammina per casa, da una stanza all’altra, con le finestre spalancate per cambiare aria.
L’ho sentita parlare a voce alta guardando il monitor del pc: forse sta lavorando come tanti in video conferenza, magari è un’insegnante impegnata nella didattica a distanza. Un giorno che faceva caldo conversava al cellulare appoggiata alla ringhiera del balcone: con gli occhi chiusi e il mento sollevato in direzione del cielo si lasciava baciare dai raggi del sole e sembrava felice.
Da quand’è che mi preoccupo così tanto delle vite degli altri? Di quelli che non conosco?
Non vorrei che la ragazza si accorgesse che la sto spiando e comincio a sentirmi come James Stewart ne La finestra sul cortile: preferirei che questo passatempo innocuo non mi facesse ritrovare invischiata in un caso di omicidio. Ma non succederà.
Da qualche giorno, da quando l’aria si è intiepidita e si avverte un annuncio di primavera, lei ha piazzato una sedia a sdraio sul balcone e rimane fuori a leggere, sempre lo stesso libro, che riconosco dalla copertina. Perché la maggior parte del tempo lo passa chiacchierando con il ragazzo che esce dalla porta del condominio di fianco, il civico 28, per portare a passeggio il cane. Il jack russell impaziente tira il guinzaglio e alla fine fa i suoi bisogni sul marciapiede, mentre il padrone, nonostante gli strattoni, con il naso all’aria e una postura da torcicollo, continua a conversare con la bella vicina di casa. Che per l’occasione ha smesso le tutone un po’ sformate e indossa i pantaloncini e una maglietta aderente scollata, corta sul davanti da far intravvedere l’ombelico.
Non che io riesca a sentire cosa si dicono, ma si vede chiaramente che si stanno divertendo.
Finché a un certo punto lui sale in casa da lei, dopo essersi guardato intorno nella strada deserta e silenziosa. Per un paio d’ore il jack russell rimane chiuso fuori sul balcone: da principio si aggira come un’anima in pena, ringhia e abbaia in direzione della porta a vetri ben serrata, poi si rassegna e inizia a raspare nei vasi di fiori, per finire a fare un pisolino con il muso tra le zampe davanti, accucciato sulla sedia a sdraio rimasta vuota.
Non si sente più neanche un rumore, le luci sono spente dietro le finestre sigillate.
Ogni giorno, nelle ore pigre del pomeriggio, si ripete lo stesso rituale, ma per caso, una sera che sono affacciata a fumare, vedo il ragazzo del 28 uscire senza la compagnia del cane e infilarsi nel portone del numero 26. Di sopra appare una luce e poi di nuovo il buio, le tapparelle si abbassano cigolando appena.
Con il mozzicone ormai esaurito tra le dita rientro in casa e mi preparo per andare a letto.
Per quanto sia sicura che le cose lì dentro stiano andando in un certo modo, non riesco mai a vederli insieme, quei due. No, no, non sono diventata una guardona. Vorrei soltanto la conferma che in questo periodo così esasperante nella sua immobilità, monocorde come un’eco ripetuta sul sottofondo delle ambulanze con le sirene spiegate, due anime si siano incontrate e piaciute, abbiano trovato l’uno nell’altra la forza per avviarsi insieme verso un lieto fine.
Sono romantica, non guardona.
Per una volta le mie speranze non vengono disattese e le visite furtive finiscono. O meglio: smettono di essere furtive e si svolgono alla luce del sole. Il ragazzo del 28 non passa più da un portone all’altro con fare circospetto, ma suona disinvolto al citofono e la ragazza del 26 si affaccia, tutta sorridente, e corre ad aprirgli. A volte non suona nemmeno, per cui ho l’impressione che stia usando un mazzo di chiavi tutto suo.
Di solito escono insieme sul balcone: lei indossa dei vestitini che le lasciano scoperte le ginocchia, parla e ride mentre stende il bucato, lui l’aiuta passandole le mollette.
Anche il ragazzo sembra niente male, forse un po’ troppo magro, e ha dei modi gentili.
La porta finestra della sala da pranzo che dà sul terrazzino è sempre aperta e il jack russell scodinzola dentro e fuori senza abbaiare. Sempre più di frequente lo vedo accovacciato sulla sedia a sdraio con le righe bianche e verdi, nelle prime ore del pomeriggio, mentre dall’interno arriva soltanto il suono attutito di qualche canzone trasmessa alla radio.
Il ragazzo si avvia spesso a fare la spesa e poi, carico di sacchetti, sale direttamente nell’appartamento di lei: li osservo seduti a tavola, che mangiano insieme e non smettono mai di parlare. E di ridere.
Mi è capitato anche di vederli che si baciavano e allora ho abbassato la tenda e mi sono allontanata dalla finestra. Mi sono sentita inopportuna: un’intrusa. E oramai ho l’impressione che la storia stia perdendo il suo interesse: gli amori appagati, quando subentra la routine, non meritano più attenzione.
Finché qualcosa cambia: una mattina d’inizio giugno c’è un po’ di trambusto, giù in strada.
Arriva una macchina nera e lucida., con l’assetto sportivo, parcheggia: mi sembra di riconoscerla, di averla vista altre volte lì davanti, fino a qualche mese prima. Anche il tipo che scende ha un aspetto familiare: alto, robusto, con i muscoli da palestrato. Suona al citofono del civico 26 e intanto scarica dal baule dell’auto un paio di borse e un trolley. La ragazza del secondo piano scende per aiutarlo: si muove agile, in jeans e maglietta, e fa di tutto per sembrare contenta.
Sarà suo fratello? Un parente? Da come si baciano non direi.
Dopo meno di un’ora compaiono entrambi sul balcone di fronte al mio. Il palestrato sorseggia qualcosa da una tazzina, con una sigaretta tra le dita dell’altra mano, e si appoggia alla ringhiera guardando in giro come il condottiero dal carro del vincitore, di ritorno dalla guerra.
La ragazza gli ronza intorno con l’espressione da schiava felice.
Dal condominio di fianco esce il ragazzo con il jack russell, solleva lo sguardo verso di loro, saluta ad alta voce: “Allora finalmente ce l’hai fatta, a tornare!”
“Guarda, non ne potevo più”, risponde il tipo grande e grosso dal terrazzo, “appena hanno riaperto i confini regionali, me la sono data a gambe. Roma è bella, ma caotica anche con il lockdown… qua si sta molto meglio”.
“Bene”, conclude l’altro dalla strada, “allora buon proseguimento. Ciao, Giulia…” e fa un cenno con la mano.
La ragazza risponde “Ciao, Lorenzo…” e non sorride.
Adesso conosco anche i loro nomi. Tranne quello del palestrato, ma poco importa.
Lorenzo volta le spalle e s’incammina, soltanto il cane non ne vuole sapere e rimane piantato in mezzo al marciapiede, abbaiando in direzione degli altri due, ancora affacciati dal secondo piano del civico 26.
Forse ha già nostalgia del pisolino pomeridiano sulla sedia a sdraio con le righe bianche e verdi, che è rimasta abbandonata in un angolo del balcone.
di Paola Cerri
che cos’è una #StoriedallaFinestra? un punto di vista fisso ma tutto lo spazio possibile per colori, personaggi e vicende piccole e magari anche dimenticabili. Ma che ci fanno viaggiare con la mente e la fantasia!
CHI RACCOGLIE LA SFIDA E SI METTE IN GIOCO SCRIVENDO UNA #STORIEDALLAFINESTRA?
(Photo by Taylor Wright on Unsplash)