SIMONA LUCHIAN
“La prima notte dell’immagine”
a cura di Elisa Bozzi
Dal 14 al 28 maggio 2016
Quand’è che l’oggetto diventa immagine pura? Quando si passa dalla condizione dell’utilizzo a quella dell’osservazione? E’ una questione di dimensioni. All’oggetto in quanto tale se ne richiedono tre, all’immagine ne bastano solamente due.
Simona Luchian, con il lavoro “La prima notte dell’immagine”, a partire dal 2013, gioca con la profondità, di campo visivo, certamente, non di pensiero.
Le immagini che ne scaturiscono sono visioni misteriose in cui si alternano, o si accavallano, la natura e la geometria, dove l’elemento naturale non è mai cornice ma sostegno o “muro”, e la geometria si impossessa dello spazio creando un effetto di straniamento.
“Siamo produttori di muri, anche invisibili, anche internamente” diceva lo scrittore Antonio Tabucchi. E anche Simona Luchian, in questo caso, produce muri, reali o metaforici, che lasciano l’oggetto ritratto in una posizione di primo piano e non permettono allo sguardo di andare oltre. Che sia di cemento, un foglio di carta, un fitto intrico di rami, sempre di muro si tratta. E di mancanza di un orizzonte reale, in cui lo sguardo possa abbandonarsi. Nei lavori dell’artista lo sguardo rimane lì, concentrato sulla composizione, a chiedersi dove sta il mistero.
E poi ci sono le mani, che compaiono di tanto in tanto, usate per lo più come supporto per gli oggetti da ritrarre, che perdono il loro carattere umano per diventare qualcos’altro.
In “Antonioni visioni” la mano si colloca dopo i tre scatti che formano un trittico e indica qualcosa di indefinito, un punto su cui interrogarsi. Nel “Dittico del ventre tenero” la mano tira un filo a cui è appeso una sorta di pendolo, che alzandosi lascia intravedere un fiore fittizio, geometrico, essenziale, che poco ha a che vedere con la natura. In questo caso il muro dona una parvenza, se pur essenziale, di orizzonte, una linea su cui appoggiare lo sguardo, oltre il quale, però, è impossibile andare. Un orizzonte che segna la distinzione tra un al di qua e un al di là; e l’orizzonte si sposta continuamente, rinviando sempre l’accesso verso l’alternativa.
La sensazione che si prova guardando le fotografie di Simona Luchian è squisitamente metafisica, nell’accezione artistica del termine. C’è sempre qualcosa che stride, che dovrebbe essere da un’altra parte e ci si interroga sulla sua presenza in quel lo spazio e in quel tempo. Gli oggetti e le situazioni si sovrappongono ma non si amalgamano. Ne è un esempio esplicito il “Dittico delle branchie e della luna”, due scatti in cui una struttura a cui sono appesi dei ritagli si mostra davanti ad una cortina fitta di alberi. Nel primo scatto i ritagli (tutti a forma di cerchio) sono piegati e riproducono il movimento delle branchie dei pesci. Nel secondo i ritagli sono spiegati e tondi, come tante piccole lune che percorrono il loro personale orizzonte rinchiuso in una cornice.
Dal progetto “La prima notte dell’immagine” è nato un bellissimo libro d’artista intitolato “Dummy photo book”, in cui gli scatti trovano una loro preziosissima collocazione.
Simona Luchian (Piacenza, 1989) vive e lavora a Milano. Dopo una laurea in Filosofia decide di approfondire il suo percorso artistico presso l’Accademia di Belle Arti di Brera e nel 2015 si laurea al Biennio Specialistico di Fotografia. Si occupa dell’uso della fotografia in relazione alla scultura e alla performance. Ha esposto in diverse mostre collettive sia in Italia che all’estero ed è stata finalista nel 2014 e 2015 al Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee.